“Drammaticità del narcisista e relazioni sentimentali traumatogene”
Dott.ssa Martina di Juvalta
Breve sintesi dell’articolo
Nel seguente articolo osserveremo in che modo le relazioni sentimentali del narcisista, vengono influenzate da un passato di particolari relazioni primarie. Faremo luce sui motivi per cui il comportamento del narcisista appare spesso ostile o sgradevole agli occhi degli altri, in particolare agli occhi del partner. Egli infatti non fa altro che cercare di difendersi dalla consapevolezza di essere stato un bambino lasciato solo. Al contrario di ciò che si potrebbe immaginare, il suo vero aspetto seducente non è il suo essere sempre splendido, ma il suo profondo aspetto di solitudine.
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Il Processo Psicoanalitico Mutativo (PPM) è un metodo d’intervento psicoterapeutico che vede nella crisi un momento estremamente significativo per il paziente. Lo scopo fondamentale dell’approccio terapeutico è quello di trasformare il funzionamento psichico del paziente entrato in crisi. L’Investigazione Psicoanalitica Mutativa (IPM), è la fase diagnostica preliminare del metodo, è una fase che dà ampio spazio, al momento esistenziale in cui ha fatto il suo esordio la crisi, ovvero alla rottura dell’equilibrio psichico della persona, poiché è proprio in quel momento che per il paziente si è imposta una verità incontrovertibile, non più occultabile e molto dolorosa. A determinare la rottura dell’intera organizzazione difensiva della persona non è la quantità di stress o la sommatoria degli eventi stressanti, ma la natura e la tipologia dell’evento scatenante per cui il paziente non può più sfuggire alla visione lucida della dannosità della propria impostazione di vita. Fra le diverse situazioni traumatogene, assumono una grande importanza quelle sentimentali, nelle quali è possibile rilevare un importante legame con le primissime relazioni d’infanzia. Ciascuna organizzazione di personalità utilizza una particolare tipologia di relazione oggettuale nel rapportarsi con l’altro. Questa è fortemente influenzata dalla modalità dei legami primari ovvero dalle primissime relazioni sperimentate con i genitori, soprattutto con la figura materna. La genitorialità si esplica nell’atto di «prendersi cura» e nel dare sostegno e contenimento al bambino. Molti autori fra cui Melanie Klein (1959) con il concetto di Identificazione proiettiva, Wilfred Bion (1962) con l’idea di Contenimento Materno, Donald Winnicott (1965) con l’introduzione dell’Holding materno e Heinz Kohut (1971) con il Rispecchiamento, hanno messo in luce quanto sia importante il ruolo della madre nelle prime esperienze di vita del bambino. In alcuni casi le rappresentazioni del genitore possono mettere a rischio la costruzione dell’identità del bambino, inducendolo ad identificarsi con il loro mondo intrapsichico. In queste situazioni, il bambino è privato della sua individualità, e non viene realmente visto nei suoi aspetti reali e peculiari. Nello specifico, l’organizzazione di personalità narcisistica cresce in un’ambiente familiare in cui la madre piuttosto che donare amore incondizionato al proprio figlio, concede una fredda ammirazione. Questa condizione induce il futuro narcisista a ricercare relazioni oggettuali di tipo speculare, impedendo così la formazione di un sé coeso. È possibile osservare genitori che cercheranno di spronare e pretendere il successo e le migliori performance da parte del proprio figlio. Egli dovrà corrispondere alle aspettative e riportare i massimi risultati in ogni ambito della vita, senza potersi permettere di “essere come gli altri”. Questo bambino, dunque, è un oggetto idolatrato da parte delle proprie figure primarie, e ciò gli impedisce di poter essere “soggetto”, gli viene preclusa una relazione intersoggettiva in cui egli possa esistere in tutti i suoi aspetti spontanei. Infatti, il bambino non viene visto per come effettivamente è, ma per come i genitori vogliono che lui sia, andandone a lodare alcuni aspetti. Tutto ciò blocca il soggetto in una condizione di tragico paradosso in cui non viene ascoltato né accolto nelle relazioni primarie, e neanche può esserlo. L’empatia viene a mancare, i suoi veri bisogni non vengono considerati, egli finisce per sperimentare una solitudine totale, in cui la presenza percepita è quella di continui sguardi e controllo da parte degli altri. L’organizzazione di personalità narcisistica sviluppa così un’idealizzazione di sé, costruisce con l’altro relazioni fredde, devitalizzate e investite solo razionalmente, gli aspetti pulsionali ed affettivi rimangono fuori dalla relazione. Nelle relazioni oggettuali di tipo speculare che costruisce il narcisista, l’altro viene considerato come un oggetto\specchio privo di pulsioni, su cui egli ricerca il proprio riflesso. Ciò determina una continua ricerca di perfezione, la quale appunto può essere osservata solo tramite il riflesso dell’altro\specchio, verso il quale si genera una dipendenza esagerata. Il narcisista vive così in una tragica condizione di solitudine che egli stesso paradossalmente ricerca, con l’intenzione di poter affermare il proprio valore ed evitare la sofferenza. Ciò che in verità accade è l’opposto: egli così facendo si espone al dolore, bloccato in una “paralisi fantasmatica” in cui non vi è alcun tipo di movimento psichico nel rappresentarsi l’altro e la relazione con l’altro. È possibile osservare in lui il senso di colpa che però non ha nulla a che fare con il concetto di empatia. Il senso di colpa che riesce a sperimentare, è proiettato verso di sé, è un sentimento che si presenta alla constatazione del fatto di non essere perfetto agli occhi degli altri o di sé stesso, e non come conseguenza dell’aver provocato dolore nell’altro. Per quanto riguarda la rappresentazione mentale che una persona con organizzazione narcisistica possa farsi dell’altro, diverse ricerche hanno dimostrato la presenza di un deficit nella capacità di mentalizzare del narcisista (Levy et al. 2015). Se brevemente ricordiamo il significato della capacità di mentalizzazione, risulterà quasi intuitiva l’associazione del deficit, al funzionamento narcisistico. Essa infatti riguarda la possibilità di effettuare rappresentazioni inerenti i propri stati mentali (pensieri, emozioni, desideri, intenzioni) e quelli degli altri, oltre alla capacità di comprendere come il proprio e l’altrui comportamento siano motivati da questi stati mentali interni. Sarà possibile osservare modalità di relazione in cui alcuni individui narcisisti possono essere quasi completamente ignari delle persone a loro circostanti, evitandone il contatto visivo, per non veder contraddetta l’intenzione di averli colpiti; o al contrario sarà possibile osservare individui estremamente focalizzati sull’altro, le cui rappresentazioni saranno però deformate dalle proprie distorsioni interiori, quindi lontane dalla realtà e molto vicine all’aspettativa paranoica del narcisista stesso (G. O. Gabbard 2019). Ma quando una relazione sentimentale diventa traumatogena per il narcisista? Un’ organizzazione di personalità narcisistica tendenzialmente si accompagna a persone di bella presenza in cui la visibilità compensa ed occupa tutto lo spazio lasciato dall’affettività. La sua vita sentimentale è caratterizzata da momenti di ritiro ed altri di apparente seduzione, senza entrare mai nella vera intimità. Ciò da cui egli si difende è la percezione di essere stato un bambino lasciato solo dalle figure primarie, sensazione che determina in lui una forte angoscia. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, il vero aspetto seducente del narcisista è il suo essere solo, e non l’aspetto splendente. Molto spesso i loro partner sono persone che desiderano occuparsi, riscaldare, accudire e accarezzare la loro parte più fragile e sola. Ma questa evenienza costringe il narcisista a venire in contatto con la parte di sé non pensata. Il partner quindi, si sforza, lotta, cerca di inventarsi modalità variegate per poterlo aiutare ad incontrarsi col suo sé più intimo, ma ciò che ottiene in cambio è la sensazione di essere rimandato al suo posto con decisione, se pur in modo garbato e mai aggressivo. L’evento sentimentale traumatico per l’organizzazione di personalità narcisistica arriva nel momento in cui il partner, esaurito da questa messa a distanza, comincia ad allontanarsi, creando così la condizione di solitudine e di sconforto che ha proprio generato il funzionamento. Egli risentirà della condizione paradossale su cui ha basato tutta la sua vita, incarnato nel mito di Narciso, ovvero il non doversi conoscere per evitare di morire dunque il non poter investire sugli altri (perché è solamente grazie all’investimento libidico sugli altri che è possibile conoscere sé stessi) ma allo stesso tempo egli non può investire solamente su di sé poiché necessita dello sguardo dell’altro per mantenere la sua corazza. L’organizzazione di personalità narcisistica fa infatti riferimento alla necessità di mantenere la propria autostima tramite conferme provenienti dall’esterno, in tal modo è grazie all’occhio dell’altro che egli può sentire di esistere.
Bibliografia
Petrini, P., Mandese, A. (2017). Manuale del Processo Psicoanalitico Mutativo PPM. La relazione psicoanalitica come trasformazione fin dal primo colloquio. Milano: FrancoAngeli.
Capriotti, M., Mandese, A., Petrini, P. (2018). Relazioni sentimentali, traumi e trasformazioni. Il metodo PPM nella diagnosi e nel trattamento. Milano: FrancoAngeli.
Gabbard, O.G., Crisp, H. (2019) Il disagio del narcisismo. Dilemmi diagnostici e strategie terapeutiche con i pazienti narcisisti. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Dott.ssa Martina di Juvalta
Psicologa e Sessuologa, Psicoterapeuta Psicoanalitica in formazione.
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