Cosa accade a livello cerebrale quando si guardano madre-bambino? Nel corso della tavola rotonda
dal titolo “L’incontro, leggiamoci dentro” svoltasi nel seminario della SAPP “I bambini ci
guardano” si è tentato di riflettere su tale domanda. Tuttavia per capire la rilevanza della risposta a
tale quesito è opportuno premettere che lo sguardo rappresenta il principale strumento comunicativo
di cui dispone la diade. Questo è particolarmente vero nei primi mesi di vita dell’infante; ovvero fin
quando quest’ultimo non è ancora in grado di rendersi protagonista di una qualsiasi forma di
eloquio. Colwyn Trevarthen, nel 1975 attribuì a questi momenti di condivisione dello sguardo fra il
caregiver ed il proprio figlio l’appellativo di “protoconversazioni”; concettualizzazione su cui
l’intero panorama clinico ha da sempre focalizzato la propria attenzione. Non è un caso, infatti, che
fra le primissime applicazioni delle neuroimmagini vi fossero quelle che avevano come obiettivo il
far luce su che cosa accadesse a livello neurobiologico, tanto nel cervello materno quanto in quello
“fanciullesco” durante le “protoconversazioni”. Tra le prime evidenze raccolte si osservò come
durante le protoconversazioni vi fosse una vera e propria sincronizzazione dell’attività neurale della
madre con quella del proprio figlio, in particolar modo a livello dell’emisfero destro, maggiormente
coinvolto nel funzionamento emotivo di un individuo. Inoltre a partire dalla venticinquesima
settima di gravidanza fino ai 18/24 mesi di vita del bambino si osserva una marcata dominanza di
tale emisfero, sia sul piano strutturale che funzionale, dovuta molto probabilmente alle prime
interazioni che cominciano ad essere sperimentate dal feto in questo periodo dello sviluppo.
L’impiego delle più recenti metodiche di neuroimaging ha consentito poi di evidenziare come
durante lo sguardo madre-infante vi sia un’attivazione piuttosto marcata delle regioni occipitali,
responsabili dell’elaborazione degli stimoli visivi, così come di quelle parietali-posteriori
(direttamente coinvolte nei processi attentivi) e di molteplici strutture encefaliche sub-corticali
(prima fra tutte l’amigdala, “nucleo anatomico” dell’esperienza emotiva). Va precisato che
l’interesse dei ricercatori fu stimolato, in particolar modo, dalla marcata attivazione della giunzione
temporo-parietale destra. Quest’ultima è un’area cerebrale associativa molto importante di cui
dispone il nostro sistema nervoso, che si colloca a cavallo fra il lobo temporale (deputato soprattutto
all’elaborazione delle informazioni uditive) e quello parietale (implicato, al contrario,
nell’elaborazione degli stimoli somatosensoriali) ma al contempo questa condivide molteplici
connessioni con il lobo occipitale e col sistema limbico. In quanto area associativa la sua funzione è
proprio quella di integrare tutti gli stimoli ed informazioni, sia sensoriali che emotivi provenienti da
tutte le aree cerebrali descritte pocanzi. Dunque è possibile intuire perché durante le
protoconversazioni tali strutture encefaliche siano particolarmente attive: le tre principali vie
sensoriali che vengono sollecitate durante le primissime interazioni della diade sono proprio quella
visiva, uditiva nonché tattile (o più generalmente somatosensoriale), senza dimenticare il fortissimo
carattere emotivo che connota tutte queste forme di interazioni che vengono sperimentate. In
conclusione si è riflettuto sul legame che sussiste fra lo sguardo ed il costrutto di “riserva
cognitiva”. Quest’ultimo, apparentemente molto complesso nella sua definizione, sta acquisendo
sempre maggiore rilevanza ed attenzione non solo nel mondo neuroscientifico ma anche in quello
psicoterapico. Ma cosa si intende per riserva cognitiva? Questa esprime la capacità del nostro
sistema nervoso di riorganizzarsi tanto sul piano strutturale quanto in quello funzionale a seguito di
lesioni cerebrali. Si è scoperto dopo anni di ricerca come il livello di riserva cognitiva di un
soggetto non sia determinato esclusivamente da fattori genetici o biologici ma, contrariamente a
quanto ci si potesse aspettare, in particolar modo da quelli ambientali. In particolar modo tanto più le esperienze che un individuo vivrà saranno “arricchenti” tanto più elevato sarà il livello di riserva
cognitiva di cui disporrà sia nel presente che nel futuro prossimo e remoto. Tuttavia al fine di
considerare un’esperienza come arricchente sono necessari tre “elementi”: in primis questa deve
contemplare una qualsiasi attività motoria, in secondo luogo deve aver luogo in un contesto ricco di
stimoli ed infine è assolutamente necessario che vi sia interazione sociale. Recentissimi studi hanno
dimostrato che sperimentare tali protoconversazioni con la propria madre, specialmente nei primi
mesi di vita, sia una delle esperienze più arricchenti in assoluto.
Dott. Luca Salvanelli (Tirocinante S.A.P.P.)
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